Sigfrido Ranucci “in forte pericolo”, rafforzata la scorta

Sigfrido Ranucci

Negli ultimi giorni le autorità hanno deciso di rafforzare la scorta a Sigfrido Ranucci, ritenendolo “in forte pericolo”. Secondo la decisione ufficiale dell’Ucis — l’Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale del Viminale — il livello di protezione assegnato al giornalista è passato da un livello 4 a un livello 2: quattro agenti di scorta, due automobili blindate e un presidio fisso dell’esercito sotto casa sua.

I fatti che hanno determinato la decisione sono due: l’attentato del 16 ottobre scorso. Quella sera davanti la sua abitazione di Campo Ascolano, vicino Roma – esplose un’ordigno rudimentale, composto da un chilogrammo di esplosivo, causando la distruzione della sua autovettura e di quella della figlia. Fortunatamente in quel momento non transitava nessuno. Ma lo stesso Ranucci aveva dichiarato che, poco prima, era passata sua figlia. Il secondo motivo del rafforzamento della scorta, sono state le sue dichiarazioni secretate in commissione Antimafia.

Non si tratta del primo segnale di allarme: negli ultimi anni Ranucci ha denunciato parecchie intimidazioni proiettili rinvenuti vicino alla sua abitazione, pedinamenti e pressioni su di lui e la sua famiglia. Durante l’audizione davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia, il giornalista ha consegnato un lungo elenco di minacce ricevute dal 2010 a oggi, fino all’attentato esplosivo del 16 ottobre.

Cosa significa il rafforzamento della scorta

Il passaggio a un livello di sicurezza superiore — da 4 a 2 — indica che le autorità considerano la minaccia non più generica, ma concreta e attuale. L’adozione di due auto blindate, quattro agenti e presidio fisso davanti alla sua abitazione rappresenta un impegno rilevante dello Stato per proteggere la libertà del giornalista e la sua famiglia.

Ranucci, storico conduttore del programma d’inchiesta Report su Rai 3, è da anni impegnato a fare luce su criminalità organizzata, intrecci economico-politici, malaffare, corruzione. Ma quel lavoro – essenziale per la democrazia e la trasparenza – lo ha reso un bersaglio. L’attentato, le minacce, la scorta rafforzata: tutto questo testimonia che chi sceglie la strada dell’inchiesta vera, quella che scava, che disturba, spesso paga un prezzo altissimo. Ma a pagarne le conseguenze non solo i giornalisti, ma anche le loro famiglie.

Ma è davvero questo il prezzo che i giornalisti d’inchiesta devono pagare? Vivere sotto scorta, muoversi protetti da auto blindate, sapere che ogni spostamento è monitorato: è una forma di protezione, certo, ma anche una gabbia. Fare inchiesta vuol dire vivere nella paura? Nel terrore di dire verità scomode? Se dire la verità comporta rischi così gravi, allora a essere in pericolo non è solo un giornalista, non è solo la sua famiglia ma anche il diritto stesso di avere una libera informazione. E oggi più che mai ne abbiamo bisogno.