In un’epoca in cui l’italiano viene spesso sacrificato alla velocità dei messaggi digitali, ridotto a sigle, abbreviazioni e neologismi improbabili, arriva un libro che invita a rimettere ordine nelle parole: “501 quiz sulla lingua italiana” di Saro Trovato, sociologo e fondatore di Libreriamo. È molto più di una raccolta di test: è un invito a riscoprire la ricchezza della nostra lingua attraverso il gioco, la curiosità e l’allenamento mentale.
Con una prefazione firmata dal presidente dell’Accademia della Crusca, Paolo D’Achille, il volume propone un viaggio agile e sorprendente tra grammatica, etimologia, modi di dire e grandi autori. Un libro da leggere e condividere, pensato per tutti
Abbiamo incontrato Saro Trovato per comprendere le ragioni di questo progetto, il ruolo che la lingua ha nella nostra identità collettiva e perché – oggi più che mai – giocare con le parole significa difenderle.
Che cosa l’ha spinta a trasformare la lingua italiana in un vero e proprio campo da gioco? Da dove nasce l’idea dei quiz come strumento di divulgazione culturale?
Ho scelto di trasformare l’italiano in un campo da gioco perché la lingua è viva solo quando ci mette in movimento. Quando smette di farci paura e ricomincia a incuriosirci. I quiz sono un mezzo straordinario per far scattare questo meccanismo: trasformano la conoscenza in un’esperienza attiva, non in un esercizio di memoria.
L’idea nasce dall’osservazione di ciò che accade online e offline: le persone cercano stimoli brevi, sfidanti, che diano una piccola gratificazione immediata. La gamification può restituire alla cultura ciò che le manca da anni: la leggerezza intelligente, la voglia di giocare seriamente con le parole.
Nel libro parla di un “nuovo volgare tecnologico” che sta erodendo l’italiano. Qual è, secondo lei, il rischio più concreto per la nostra lingua?
Il rischio più concreto è l’impoverimento della complessità. Il “nuovo volgare tecnologico” non è solo l’uso massiccio di anglicismi, abbreviazioni o slang digitali, ma è la tendenza a semplificare tutto: frasi più brevi, pensieri più rapidi, identità più deboli.
Di certo, la messagistica e i social hanno dato un duo colpo alla nostra lingua. In nime del tutto e permesso e delle icone che sostituiscono le parole, l’impoverimento raggiunge vette altissime.
Un ulteriore colpo di grazia lo sta fornendo l’intelligenza artificiale, che invece l’italiano l’ha studiato molto bene e lo scrive e lo espone in maniera divina. Peccato però che affidandosi si perde la comprensione da parte dell’utente di cosa c’è dietro, di cosa sta alla base della lingua.
Tra l’altro bisogna fare molto attenzione nelle traduzioni perché sorgono “neologismi” che poi vengono utilizzati con la consueta superficialità.
da sottolineare che quando la lingua perde le sue sfumature, perde anche la capacità di raccontare ciò che siamo. Una lingua impoverita produce cittadini impoveriti, meno capaci di pensare criticamente e di difendersi dal rumore mediatico.
La vera battaglia non è contro l’inglese o la tecnologia, ma contro la superficialità e l’approssimazione.
I 501 quiz spaziano dalla grammatica alla letteratura. Qual è stata la parte più complessa da selezionare e strutturare?
La parte più complessa è stata trovare l’equilibrio tra autorevolezza e divertimento.
La grammatica richiede rigore, ma non deve diventare un tribunale; la letteratura ha bisogno di profondità, ma deve rimanere accessibile.
Ho voluto evitare sia l’accademismo sia la banalizzazione: ogni domanda doveva essere precisa, verificata, ma anche stimolante.
La difficoltà maggiore è stata proprio questa: creare un ponte tra il piacere del gioco e la solidità dei contenuti.
Giocare con la lingua come atto di resistenza culturale. In che modo un semplice quiz può contribuire a difendere l’italiano?
Un quiz difende la lingua perché trasforma la conoscenza in un gesto quotidiano.
È un atto di resistenza silenziosa: invece di lamentarci del degrado linguistico, facciamo qualcosa.
Ogni domanda è un seme: ti costringe a scegliere, a ragionare, a confrontarti con il significato delle parole. Non è un passatempo, è un piccolo allenamento mentale.
E nelle epoche in cui la distrazione è la regola, concentrarsi su una parola è già un atto rivoluzionario.
Che ruolo ha avuto l’esperienza di Libreriamo nella nascita di questo progetto?
Libreriamo è stata la palestra perfetta. È una piazza che prevede il confronto, l’ascolto, l’osservazione.
In oltre dieci anni ho imparato che il pubblico culturale non è affatto elitario; è curioso, trasversale, affamato di contenuti che mettano insieme profondità e leggerezza.
La community mi ha insegnato una cosa fondamentale: la cultura funziona quando riesce a far sentire le persone parte di qualcosa.
Questo libro nasce esattamente da lì: dall’idea che un gesto semplice, come rispondere a un quiz, può diventare un modo per far parte di una comunità che ama le parole.
Nel libro emerge un forte legame tra lingua e identità. Pensa che oggi gli italiani si sentano ancora rappresentati dalla loro lingua?
Credo di sì, ma spesso senza esserne pienamente consapevoli.
L’italiano è un patrimonio emotivo prima ancora che grammaticale. È la lingua della nostra infanzia, dei romanzi che abbiamo letto, delle canzoni che abbiamo cantato, dei film che abbiamo visto.
Il problema è che questa appartenenza non viene coltivata: è come un giardino lasciato incolto.
Gli italiani si riconoscono nella loro lingua quando qualcuno glielo ricorda. Quando ritrovano una parola bella, una sfumatura perduta, un significato che li rappresenta.
Si dimentica però che la lingua italiana è il nostro patrimonio artistico e culturale più importante. È il nostro made in Italy, è l’eccellenza che per prima ci rappresenta nel mondo, da identità al nostro cibo, alla nostra moda, al nostro design. La nostra lingua è l’Italia e il nostro paese, non dobbiamo mai dimenticarlo.
Questo libro vuole ricordare che c’è una meraviglia da tutelare e si propone di riaccendere un orgoglio linguistico sano, non nazionalista, ma culturale. Perché difendere l’italiano significa difendere un modo unico di abitare il mondo.
di Battista Bruno







