In vista dell’uscita del romanzo “Chi vive d’amore. Il Cannoniere”, LaCnews24 ha intervistato uno dei suoi autori – Massimo Proietto, vicedirettore di Rai Sport, che ha scritto questo libro a quattro mani insieme al pluripremiato autore Antonio Barracato.
Come nasce l’idea di un romanzo che usa il calcio come strumento di riscatto e metafora della vita?
L’idea nasce dalla convinzione che il calcio, come altri sport e linguaggi sportivi, sappia raccontare la vita vera. Dentro un campo si concentrano la fatica, le sconfitte, i momenti di svolta, la gioia della squadra, la solitudine del rigore: tutto ciò che forma un essere umano. Abbiamo voluto restituire al calcio la sua anima originaria, quella che non ha nulla a che fare con i riflettori o il denaro, ma con l’educazione, la lealtà e la solidarietà. Per Paolino il pallone diventa il mezzo attraverso cui affrontare il dolore e ritrovare se stesso. In fondo “Chi vive d’amore” è proprio questo: la storia di un ragazzo che, giocando, impara a vivere.
Paolino Rinaldi è un personaggio inventato o racchiude esperienze e persone reali che avete incontrato nel vostro percorso?
Paolino è un personaggio di fantasia, ma nasce dall’osservazione del reale. È il volto di tanti ragazzi incontrati negli anni: nei campi di periferia, nelle scuole, nei centri sportivi. Giovani con sogni grandi e pochi mezzi, ma con una forza interiore straordinaria. In lui convivono tante esperienze vere e reali – la perdita, la rinascita, la fiducia negli adulti giusti – che lo rendono universale. È fragile e insieme fortissimo, come tanti adolescenti che cercano nel calcio, o in una passione qualsiasi, la strada per riscattarsi. Paolino non rappresenta solo un calciatore: rappresenta la possibilità di non soccombere, di rimettersi sempre in gioco.
Il titolo “Chi vive d’amore” richiama un valore universale: che ruolo ha l’amore, in senso ampio, nel vostro racconto?
È il cuore pulsante del romanzo. L’amore qui non è un sentimento romantico, ma una forza che muove tutto: è amore per la famiglia, per gli amici, per il proprio sogno, per la vita. Paolino attraversa il dolore più grande, ma viene salvato dall’amore degli altri – quello dei frati, degli amici, degli educatori – e dal suo stesso amore per il calcio. È questo sentimento a dargli un futuro, a spingerlo a restituire, quando diventa grande, ciò che ha ricevuto: ristruttura il convento, crea spazi per i ragazzi, investe nel bene comune. L’amore, in questo senso, è la forma più alta di riscatto sociale.
Il calcio di oggi, spesso dominato dal business, può ancora essere scuola di vita e solidarietà come nel vostro libro?
Assolutamente sì, se si torna alle sue radici. Il calcio vero non è solo quello dei contratti e dei procuratori, ma quello che si gioca nei campi di periferia, dove si impara a condividere, a rispettare l’avversario, a cadere e rialzarsi. Il calcio può ancora educare se resta un gioco di squadra, se diventa strumento di inclusione e non di esclusione. Paolino cresce proprio così: nonostante le tentazioni del successo, non dimentica mai chi lo ha aiutato, né il valore dell’amicizia e della lealtà. Anche oggi ci sono molti allenatori, educatori e ragazzi che vivono il calcio in questo modo, lontano dai riflettori ma vicino alla verità.
Se doveste riassumere il messaggio del romanzo in una sola frase, quale sarebbe?
Chi vive d’amore non si arrende mai. È l’amore, in tutte le sue forme, che permette di rialzarsi, di credere ancora, di trasformare un sogno in una possibilità reale. È la nostra dichiarazione d’affetto per la vita, per lo sport e per le persone che non smettono di mettersi in gioco.







