Ozzy Osbourne non era solo il volto dei Black Sabbath. Era molto di più. Era la voce dell’oscurità, il ribelle che ha dato un’anima all’heavy metal. E oggi, il mondo lo piange.
Ci ha lasciati ieri, 22 luglio 2025, all’età di 76 anni, circondato dall’amore della sua famiglia. Fino all’ultimo respiro ha incarnato lo spirito della musica che ha contribuito a creare: grezza, vera, indomabile.
Nato nel 1948 a Birmingham, John Michael ha iniziato il suo viaggio dalla working class per diventare il simbolo musicale della città. Con i Black Sabbath ha aperto una porta su un mondo nuovo, fatto di riff oscuri, testi introspettivi e una potenza mai sentita prima. Paranoid, Iron Man, Black Sabbath — canzoni che non erano solo musica, ma un grido generazionale.
La sua carriera solista è stata un urlo di resistenza e rinascita. Con Crazy Train, Mr. Crowley e tanti altri brani, Ozzy ha dimostrato che non si può spegnere un fuoco così grande. E quando sembrava perso tra eccessi e scandali, è tornato. Sempre.

Negli ultimi anni Osbourne ha combattuto contro un brutto male, il Parkinson. Nonostante ciò, ha voluto salutare i fan con un ultimo, epico show: “Back to the Beginning” che si è svolto il 5 luglio 2025 a Villa Park. Luci soffuse e le note dei Carmina Burana in sottofondo accolgono Ozzy dalle viscere del palco. Era seduto su un trono gotico adornato di pipistrelli, a causa delle sue condizioni. Ha cantato la sua ultima canzone con i Black Sabbath davanti a 40–45.000 fan e milioni di spettatori via livestream. Ozzy è lì, celebra “la sua morte”
Un cerchio che si chiudeva dove tutto era cominciato: nella sua Birmingham. Un ultimo saluto carico di emozione, di lacrime, di gratitudine. «You have no idea how I feel – thank you from the bottom of my heart», ha detto dal palco. Parole semplici, ma vere. Come lui.
Ozzy era il buio che si faceva voce, ma anche il padre, il marito, l’uomo fragile sotto la corazza di leggenda. Sharon, la sua compagna di vita, lo ha sempre definito “la persona più forte e più dolce che io abbia mai conosciuto”. Oggi, con lei, lo piangono i figli, i fan, e una generazione intera che ha spesso trovato rifugio nel suono metal dei suoi brani.

Artisti da ogni angolo del mondo lo ricordano con affetto e ammirazione: Elton John lo ha definito un “gigante, una leggenda”, Metallica e Ronnie Wood hanno condiviso il loro dolore, ricordandolo come un amico e un’ispirazione senza tempo per milioni di musicisti.
È come se, con quel concerto a Villa Park, Ozzy Osbourne avesse deciso di mettere in scena la sua stessa fine — ma a modo suo: con chitarre che graffiano il cielo, luci che tagliano l’oscurità, e la sua voce, più fragile ma ancora carica di potenza, a cantare per l’ultima volta ai suoi figli spirituali.
Seduto su quel trono gotico, non era un re decadente, ma un sacerdote del metal che officiava il suo ultimo rito. Non c’era tristezza, solo una solenne, profonda consapevolezza: Ozzy stava dicendo addio. Non come una vittima della malattia, ma come un guerriero che ha scelto il suo campo di battaglia e il suo momento.
Quel concerto non è stato solo musica, è stato un testamento, un atto d’amore, una dichiarazione del tipo “sono stato con voi fino alla fine. E adesso, posso andare in pace.”
Villa Park ha ospitato una celebrazione della vita e della morte di un uomo diventato leggenda, in cui le lacrime e gli applausi si sono fusi in una sola, indimenticabile verità: Ozzy è eterno.
