Sanremo 2026, la corsa in salita di Carlo Conti: rifiuti eccellenti, cast da ricostruire e un Festival a rischio identità

Carlo Conti – Sanremo 75

Il clima che circonda Sanremo 2026 assomiglia più a una sala di attesa che a un cantiere in fermento. Carlo Conti, tornato alla guida dopo gli anni di Amadeus, si trova davanti a un paradosso raro: un Festival che tutti continuano a citare, discutere, commentare, ma che sempre più artisti di fascia alta sembra scelgano di evitare. Non una fuga rumorosa, piuttosto una sottrazione silenziosa, a volte elegante, a volte netta. La lista dei “no” che filtra da settimane è il termometro di un malessere più profondo. L’Ariston continua a essere un faro della musica italiana, certo, ma sembra aver perso un pezzo del suo magnetismo. E il direttore artistico, che conosce il palcoscenico come le sue tasche, lo sa benissimo.

Il Messaggero ha riportato un retroscena che, per la prima volta dopo anni di sovraffollamento di candidature, cambia il quadro. Tiziano Ferro ha declinato. Annalisa, reduce da un periodo di popolarità altissima, ha fatto lo stesso. Emma, Noemi, Carmen Consoli, i Pooh, Ernia, Alfa, Anna: un ventaglio di nomi che copre generi, età, pubblici diversi. Nessuna polemica, nessuna dichiarazione piccata. Soltanto una fila di messaggi riservati che, uno dopo l’altro, hanno tracciato una linea chiara. Per qualcuno è una questione di tempi, per altri di percorso artistico, per altri ancora di saturazione. Ma il risultato non cambia.

E la questione si fa più significativa se si osservano anche i silenzi eccellenti: Irama e Tedua, protagonisti degli stadi, non sembrano più vedere il Festival come un passaggio necessario. Si aggiungono i dubbi di Fabrizio Moro, di Enrico Ruggeri, di Sergio Cammariere: tutti artisti che hanno un rapporto storico con il palco ligure. C’è chi parla di una “deriva troppo cantautorale”, chi teme un’edizione più chiusa e meno popolare, chi semplicemente non riconosce in questo Sanremo la stessa promessa di visibilità degli anni passati.

Per Conti, il problema non è nuovo, ma il contesto sì. L’effetto-Amadeus – il suo mix calibrato di mainstream, giovani già virali, grandi ritorni e pop televisivo – ha alzato enormemente l’asticella. Riportare il Festival dentro un equilibrio diverso significa inevitabilmente scontentare qualcuno. Ed è per questo che, mentre le rinunce crescono, il direttore artistico tenta di correre ai ripari ampliando il cast: da 26 a 30 big, una mossa che serve a dare ossigeno alle trattative con le case discografiche. Non tutte hanno accolto la novità con entusiasmo. La Rai ha chiesto alle etichette una sorta di responsabilità condivisa sulla tenuta comportamentale degli artisti: un dettaglio che rende il dialogo più complicato di quanto si possa immaginare.

Nel frattempo, il rinvio dell’annuncio al TG1 è diventato ufficiale. Non solo per il lutto che ha colpito il mondo musicale con la scomparsa di Ornella Vanoni, ma anche per un motivo meno dichiarato: servono giorni supplementari per convincere gli indecisi. Tra questi ci sarebbero nomi fortissimi. Blanco, reduce da un periodo di ricostruzione d’immagine. Angelina Mango, con una popolarità trasversale e un seguito internazionale. Elisa, che da anni decide i suoi Festival con un’attenzione chirurgica. Nessuno di loro ha detto sì, ma nessuno ha detto no.

Intanto si fanno strada altri nomi, molto diversi tra loro, che potrebbero cambiare l’atmosfera del cast. Amara, Sayf, Luchè, Frah Quintale, Tropico, Fulminacci, Nayt. Poi Venerus e Chiello, due artisti che rappresentano mondi musicali molto lontani dal pop generalista ma amatissimi dal pubblico giovane. Malika Ayane sarebbe il ponte perfetto tra tradizione e sperimentazione. E per rassicurare una platea più adulta, circolano i nomi di Gianni Morandi, Arisa, Serena Brancale, Sal Da Vinci. Un mosaico variegato, forse ancora fragile, ma non privo di potenzialità.

Sul fronte della gara si parla di coppie nate per spostare gli equilibri. Marco Masini e Fedez, un’alleanza inattesa che potrebbe generare un brano molto più potente delle aspettative. Elodie e Rkomi, due mondi che si incastrano alla perfezione. E subito dietro Tommaso Paradiso ed Ermal Meta, artisti di parola che potrebbero trovare nel Festival la cornice ideale per un ritorno narrativo.

Sanremo, però, non è solo un elenco di nomi. È soprattutto una questione di identità. E questa è la variabile più delicata del 2026. La sensazione – più diffusa di quanto si voglia ammettere – è che il Festival rischi di scivolare verso una forma diversa, più vicina a un grande evento cantautorale che a un appuntamento che racconta il Paese. Il paragone con il Club Tenco è volato più volte, non come insulto, ma come possibile destinazione. Un Festival bellissimo, impeccabile, tecnicamente ineccepibile, ma meno popolare. Meno centrale. Meno decisivo.

In questo quadro, la morte di Ornella Vanoni è stata uno shock che ha attraversato tutto il settore. Carlo Conti lo ha raccontato sul palco di Vanity Fair Stories, condividendo un ricordo tenero e pieno di ironia. E proprio per rispetto a lei ha scelto di rinviare l’annuncio dei big. Un gesto che, oltre al valore simbolico, conferma anche la difficoltà del momento: serve tempo, serve stabilità, serve un clima che renda giustizia al Festival.

Conti ha poi anticipato qualche dettaglio sulle serate. Saranno più snelle, come nel 2025, con chiusura poco dopo l’una. Nicola Savino guiderà il DopoFestival e riceverà la linea a un orario umano. Ogni serata avrà un co-conduttore diverso, scelta che evita l’effetto “monolite” degli anni passati. E soprattutto, il Festival sarà dedicato interamente a Pippo Baudo, il padre di tutto ciò che oggi chiamiamo Sanremo moderno.

Il direttore artistico non ha ancora scelto la canzone d’apertura, ma sa già a chi verrà dedicata. E mentre lavora alla scaletta, qualcuno gli chiede del futuro. Chi potrà raccogliere la sua eredità? Conti risponde senza giri di parole: Stefano De Martino, Alessandro Cattelan, Gianluca Gazzoli. E poi, una donna. Una direttrice musicale. Forse Milly Carlucci, forse Fiorella Mannoia, forse Geppi Cucciari. Il segno che il Festival, anche nella crisi, prova a guardare avanti.

Quel che è certo è che Sanremo 2026 non può permettersi di sbagliare la rotta. Ci sarà tempo per capire se questo sarà il punto di un nuovo inizio o la fine di un ciclo che sembrava infinito. Intanto, la macchina si muove, lentamente ma senza fermarsi. Il resto lo diranno i nomi, le canzoni, e soprattutto la reazione di un pubblico che, ancora oggi, decide il destino dell’Ariston più di ogni casting.