Londra riapre a Bruxelles: la Gran Bretagna torna nell’Erasmus e Starmer prova a ricucire lo strappo della Brexit

Londra

La Gran Bretagna torna nell’Erasmus. È il gesto più simbolico e, allo stesso tempo, più pragmatico del nuovo corso inaugurato da Keir Starmer nei rapporti con l’Unione europea. L’annuncio ufficiale è atteso nelle prossime ore, ma la notizia circola già con conferme indirette arrivate anche in ambienti diplomatici: Londra rientra nel programma di scambio studentesco che aveva abbandonato dopo la Brexit, chiudendo una delle fratture più dolorose e impopolari dell’uscita dall’Ue.

Il ritorno nell’Erasmus non è solo una questione accademica. È una scelta politica precisa. Starmer ha fatto del riavvicinamento a Bruxelles uno dei cardini della sua agenda internazionale e il dossier studenti era, fin dall’inizio, il terreno più favorevole su cui muoversi. Costi contenuti, consenso diffuso, benefici immediati: un obiettivo “facile” dentro un negoziato molto più complesso e ancora pieno di mine.

Per gli studenti europei la differenza sarà concreta. Chi parteciperà al programma in Gran Bretagna potrà pagare la retta universitaria “nazionale”, pari a circa 9.500 sterline l’anno, poco meno di 11 mila euro. Una cifra lontanissima dalle rette “internazionali” imposte dopo la Brexit, che in alcuni atenei superano i 40 o 45 mila euro annui. In altre parole, studiare a Londra, Manchester o Edimburgo torna ad essere possibile per una larga fetta di giovani del continente, dopo anni in cui il Regno Unito era diventato un lusso per pochi.

Dal punto di vista europeo, l’Erasmus è sempre stato considerato un tassello irrinunciabile. Non solo per il valore culturale e formativo del programma, ma anche perché la Gran Bretagna continua ad esercitare un’attrazione fortissima sui giovani europei. Università prestigiose, lingua globale, mercato del lavoro dinamico: Londra resta una calamita. E proprio questa “fame di Londra”, come viene definita a Bruxelles, ha spinto l’Ue a insistere per riportare gli scambi studenteschi al centro del dialogo.

Il rientro nell’Erasmus, però, non significa un ritorno indolore al passato. È un compromesso, non una restaurazione. E infatti resta ancora aperta la partita più delicata: quella sulla mobilità giovanile. Bruxelles vorrebbe un accordo che consenta a ragazzi e ragazze europei di lavorare temporaneamente nel Regno Unito senza visto, come avveniva prima della Brexit. Per Starmer, però, questo è il vero campo minato.

Il tema dell’immigrazione continua a essere politicamente esplosivo oltremanica. Anche se il governo è cambiato, il dibattito pubblico resta segnato dalle tensioni e dalle promesse mancate degli anni precedenti. Concedere un’apertura netta sulla libera circolazione, anche se limitata ai giovani, significherebbe offrire munizioni a un’opposizione pronta ad accusare i laburisti di voler “annullare” la Brexit pezzo dopo pezzo.

Per questo l’accordo sulla mobilità resta in alto mare. Starmer procede per gradi, consapevole che ogni passo falso potrebbe riaccendere una guerra culturale mai davvero sopita. L’Erasmus, in questo senso, è una prova tecnica di riavvicinamento: abbastanza significativa da mandare un segnale all’Europa, abbastanza prudente da non spaventare l’elettorato interno.

Il messaggio politico è chiaro. La Brexit non viene rinnegata formalmente, ma viene svuotata delle sue conseguenze più impopolari. Meno slogan, più pragmatismo. Meno isolamento, più cooperazione selettiva. E soprattutto, un tentativo di riallacciare il rapporto con quella generazione che più di tutte ha pagato il prezzo dell’uscita dall’Ue.

Se sarà l’inizio di una vera normalizzazione o solo un’operazione simbolica lo diranno i prossimi mesi. Di certo, con il ritorno nell’Erasmus, Londra smette di voltare le spalle all’Europa almeno dove il costo politico è minimo e il guadagno, in termini di consenso e immagine, è immediato. E per Starmer, in una fase di equilibri fragili, non è poco.