Perché la crisi di Parigi non è una buona notizia per l’Italia: se crolla la Francia, Roma è la prima a pagare il conto

Non è il momento per l’Italia di augurarsi una crisi francese. Perché se Parigi traballa, Roma trema. I legami economici e finanziari tra i due Paesi sono così profondi da rendere impossibile separarne i destini. E un terremoto politico o di bilancio in Francia avrebbe inevitabilmente effetti immediati anche sull’Italia, tanto sui mercati quanto sull’economia reale.

La prima ragione è finanziaria. Se la Francia dovesse scivolare verso una crisi del debito sovrano, l’Italia sarebbe la prima vittima collaterale. I due Paesi condividono un profilo simile: alto debito pubblico, crescita debole, rigidità strutturali e un’elevata esposizione ai mercati internazionali. Se i titoli di Stato francesi dovessero perdere valore, i mercati si chiederebbero subito dove si nascondono rischi analoghi. E lo sguardo finirebbe inevitabilmente verso Sud-Est, su un Paese che cresce meno dello 0,7% l’anno, con un debito pubblico al 137% del Pil, meno start-up, meno capitale di rischio e più fragilità strutturali.

Quel Paese, ovviamente, è l’Italia. Basterebbe una fiammata di sfiducia verso Parigi per far salire lo spread italiano, già vulnerabile dopo mesi di tensioni sui conti pubblici e in vista delle nuove regole europee di bilancio. Non a caso gli analisti finanziari ricordano spesso che il destino dei due “grandi malati” dell’Eurozona è legato a doppio filo: se uno vacilla, l’altro non resta in piedi. In latino, simul stabunt, simul cadent – staranno in piedi insieme o cadranno insieme.

Una crisi francese, inoltre, avrebbe ripercussioni politiche dirette sui vertici dell’Unione. La Francia è la seconda economia dell’eurozona e, insieme alla Germania, rappresenta il perno dell’integrazione europea. Un suo indebolimento, o peggio un downgrade del debito da parte delle agenzie di rating, metterebbe in discussione l’intera architettura finanziaria dell’Eurozona, spingendo gli investitori a chiedere premi di rischio più alti anche all’Italia.

Ma c’è una seconda ragione, più concreta e immediata, per cui l’Italia deve sperare che la Francia regga: il mercato. La Francia è oggi il nostro secondo partner commerciale dopo gli Stati Uniti e il primo in Europa per surplus netto. Secondo i dati dell’Istituto per il commercio estero, nel 2024 le imprese italiane hanno esportato oltralpe beni per 61,5 miliardi di euro, importandone per 48,2. Il saldo positivo di oltre 12 miliardi rappresenta un’iniezione diretta di crescita per il nostro Pil.

Un patrimonio economico che rischierebbe di evaporare se l’economia francese dovesse rallentare bruscamente. Dopo i dazi di Donald Trump e la crescente competizione commerciale con la Cina, il mercato transalpino è una delle poche certezze per il nostro export. Le aziende italiane, dal lusso alla meccanica, dalla moda all’agroalimentare, dipendono dalla domanda francese. Un calo dei consumi o una stretta creditizia a Parigi si tradurrebbero immediatamente in minori ordinativi e profitti per le imprese del Nord Italia.

Basta scorrere i dati per capire la portata del legame. La Francia assorbe da sola il 10% delle nostre esportazioni totali, più della Spagna e quasi quanto gli Stati Uniti. E a differenza del mercato americano, quello francese non è gravato da barriere doganali o da incertezze politiche. Le filiere produttive tra i due Paesi sono integrate: un’auto francese monta componenti fabbricati in Piemonte o in Emilia, mentre le maison parigine dipendono dal tessile toscano e dalle pelli venete.

Un contagio economico, quindi, non sarebbe solo finanziario ma industriale. La Francia è un moltiplicatore per la manifattura italiana: quando cresce, trascina anche noi; quando frena, ci porta con sé. Nel 2023, il nostro avanzo commerciale con Parigi ha contribuito in modo decisivo alla tenuta dell’economia nazionale. Ma un suo collasso potrebbe cancellare in pochi mesi quel vantaggio, proprio nel momento in cui il nostro export verso gli Stati Uniti è minacciato dai nuovi dazi e quello verso la Cina è schiacciato dalla sovrapproduzione asiatica.

Anche dal punto di vista geopolitico, Roma non può permettersi un indebolimento della Francia. L’Italia e Parigi collaborano strettamente nella difesa europea, nei progetti spaziali e nel Mediterraneo. Entrambe devono aumentare gli investimenti nella NATO fino al 2% del Pil, un obiettivo che diventa più difficile se una delle due capitali entra in crisi di bilancio.

Ecco perché le difficoltà francesi non sono, come qualcuno potrebbe credere, una rivincita per l’Italia o un’occasione per guadagnare terreno. Al contrario: una crisi di Parigi sarebbe un rischio diretto per Roma, sia sui mercati finanziari sia sul piano industriale. L’Italia ha tutto l’interesse a che la Francia resti stabile, cresca e continui a essere un partner solido dentro l’Unione Europea.

Perché, al di là delle rivalità e delle divergenze politiche, tra Roma e Parigi vale una regola semplice e antica: se la Francia cade, l’Italia non resta in piedi.