Ursula von der Leyen, ovvero una regina senza regno, sempre perfetta, lo sguardo fermo e la compostezza di chi ha studiato nei salotti giusti. È la Presidente della Commissione Europea, ma potrebbe benissimo essere uscita da una serie TV su nobildonne tedesche trapiantate a Bruxelles con l’animo illuminista e un’agenda piena di vertici. Donna di cultura, madre di sette figli, Ursula è l’incarnazione plastica di quell’Europa che sogna ad occhi aperti mentre il mondo brucia.
Nel suo tailleur color pastello è la metafora perfetta dell’Unione: colta, elegante, brillante ma incapace di accendersi. Parla tutte le lingue, ma raramente dice qualcosa che scaldi i cuori. Le sue conferenze stampa sono opere d’arte della non-decisione: un capolavoro di parole ben pettinate che si affacciano sull’abisso del nulla.
Sotto la sua guida, l’Europa ha fatto passi importanti, ma sempre con la grazia un po’ lenta di chi ha paura di sporcarsi le scarpe. E qualcosa non torna: nel mondo dove Trump tuona, Putin bombarda, Xi pianifica e Netanyahu distrugge, l’Europa sembra una perfetta assente. Come quella dama che a un importante ricevimento, nessuno la invita a ballare.
Ursula è il ritratto in miniatura del Vecchio Continente. Nobiltà antica, portamento raffinato, grandi ideali in una cornice d’oro. Ma dentro la cornice, la tela sbiadisce: i popoli si disinnamorano, i giovani emigrano, i partiti urlano la loro inconsistenza, i confini traballano. E mentre i grandi del mondo fanno la storia, l’Europa timidamente la commenta, spesso in ritardo.
Von der Leyen prova a tenere insieme tutto: Est e Ovest, Nord e Sud, austerità e rilancio, pace e deterrenza. Ma sembra spesso un’acrobata su un filo che si tende sempre di più sopra il vuoto.
In fondo, Ursula è esattamente l’Europa: bellissima, civilissima, educatissima, ma smarrita. Troppo sofisticata per alzare la voce, troppo stanca per disegnare il futuro.
Un continente in tailleur che cerca ancora il proprio destino, ma rischia di confondersi con il proprio decoro.
Tacco di Ghino