E non se ne vuole andare! Santanchè e il caso Bioera: mezzo milione di euro di sanzioni, accuse su più fronti

Ministra Santanchè in Aula

In qualunque altro Paese europeo, una ministra travolta da sanzioni, indagini e processi si sarebbe dimessa da tempo. In Italia no. In Italia Daniela Santanchè è ancora lì, salda al suo posto di ministra del Turismo. Imperterrita, come se nulla fosse. Anche ora che la Consob, l’Authority che vigila sui mercati finanziari, ha inflitto quasi mezzo milione di euro di sanzioni a lei, al suo ex compagno Canio Mazzaro, e a una sfilza di manager e amministratori legati alle società Bioera e Ki Group Holding, ormai entrambe fallite.

La delibera del 15 maggio scorso è chiara: secondo la Consob, tra il 2019 e il 2022, investitori e piccoli azionisti sarebbero stati tenuti all’oscuro di informazioni fondamentali, tra contratti opachi, operazioni tra aziende dello stesso gruppo, manager in comune, finanziatori condivisi. In particolare il misterioso fondo Negma, già emerso in altri dossier, incluso quello di Visibilia, per il quale Santanchè è già sotto processo con l’accusa di falso in bilancio.

In tutto, le sanzioni ammontano a 454 mila euro. Alla sola Santanchè ne toccano 75 mila, spalmati tra Bioera e Ki Group. A Mazzaro, l’ex compagno, oltre 140 mila. Le accuse? Gravi, secondo Consob: violazioni dolose per Mazzaro, colpa grave per la ministra, e colpa semplice per gli altri amministratori. Una catena di omissioni e opacità partita già nell’autunno 2019, con complesse operazioni societarie, e protrattasi fino a inizio 2022. In mezzo, aumenti di capitale, mancata trasparenza, e un destino finanziario che si faceva sempre più incerto, fino al fallimento.

Eppure, nonostante la gravità delle contestazioni – penali e amministrative – Santanchè è ancora lì. Una presenza che resiste a tutto: alla caduta delle sue aziende, alle carte bollate, alle udienze in tribunale, ai rilievi della magistratura contabile, alle accuse di aver ingannato il Parlamento stesso quando fu chiamata a riferire in aula.

Il punto non è solo giudiziario, è politico. In Francia, in Germania, in Spagna o perfino in Grecia, un ministro coinvolto in simili vicende sarebbe già fuori dal governo. In Italia, invece, rimane. Perché?

Perché nonostante tutto, i fallimenti, i bilanci falsi, le sanzioni, i processi, il suo partito, Fratelli d’Italia, la copre. Il governo la difende. E l’opinione pubblica? In parte distratta, in parte rassegnata. Come se fosse normale che un ministro incriminato e accusato di gravi responsabilità per operazioni assolutamente poco trasparenti in aziende che hanno lasciato sul campo investitori bruciati e lavoratori disoccupati.

Nel silenzio assordante della politica, Santanchè resiste. Forse perché in Italia, più che altrove, la responsabilità pubblica si dissolve tra i palazzi, e l’etica istituzionale si arrende al calcolo di potere.

Ma fuori dai ministeri, il conto lo pagano i cittadini. E non solo in euro.