Il 4 ottobre festa nazionale: quando la politica scopre San Francesco

Aula Parlamento

San Francesco d’Assisi non fu un ribelle qualsiasi. Non fondò una nuova Chiesa. Non cercò lo scisma. Rimase dentro. Ma dentro portò il vento della rivoluzione. Nel Medioevo del potere temporale, dei palazzi, delle terre e dell’oro, lui scelse di spogliarsi. Di restare povero tra i poveri. Una sfida silenziosa e clamorosa. Mise in discussione l’autorità più grande senza urlare. Mostrando che il Vangelo poteva essere vissuto, non solo predicato. Una scelta che ancora oggi mette in imbarazzo i potenti di ogni tempo.

Il voto del Parlamento

Il Parlamento ha deciso: 247 voti favorevoli, 2 contrari, 8 astenuti. La Camera ha dato il via libera all’istituzione del 4 ottobre, festa nazionale di San Francesco. Ora tocca al Senato. I due voti contrari sono arrivati da +Europa. Una battaglia di principio: la laicità dello Stato. Una voce minoritaria, ma che ha sollevato il tema. Eppure la Repubblica italiana ha già scelto altre date fortemente identitarie. Il 25 aprile, memoria della Liberazione. Il 2 giugno, nascita della Repubblica. Il 4 novembre, giornata delle Forze Armate. Date che raccontano la nostra storia. Date che parlano di libertà, di democrazia, di sacrificio.

Le alternative mai realizzate

Non è la prima volta che il Parlamento si interroga su nuove ricorrenze. In passato erano state proposte alternative. Il 19 marzo, festa di San Giuseppe, patrono dei lavoratori: una data che univa tradizione cattolica e cultura popolare. Oppure il 21 marzo, primo giorno di primavera, da legare al tema della rinascita e della legalità, in memoria delle vittime delle mafie. Tutto si è arenato. Divisioni, veti, silenzi. Il 4 ottobre, invece, è arrivato in fondo al percorso. Perché Francesco parla a tutti. Non divide. Non è di parte. È patrimonio universale.

Francesco, il primo ecologista

Francesco non era un poeta che si perdeva nei boschi. Il suo Cantico delle Creature è un manifesto. Chiamare fratello il sole, sorella la luna, sorella la morte non era retorica. Era una visione politica e spirituale. L’uomo non padrone del mondo, ma parte di una comunità vivente. Una lezione che oggi, nell’era della crisi climatica, dell’acqua che scarseggia e dei ghiacciai che si sciolgono, suona come profezia. La politica discute di transizione ecologica, di fondi e strategie. Ma Francesco aveva già detto tutto: rispettare il creato significa rispettare se stessi.

La rivoluzione della gioia

Francesco non minacciava castighi. Non parlava di fuoco eterno. Sorrideva. Cantava. Ballava. Il suo cristianesimo era gioia. Era leggerezza. Una fede che liberava, non che opprimeva. Persino la morte diventava sorella. Non un nemico da combattere, ma un passaggio da accogliere. È questo che rende Francesco sorprendentemente moderno: ha ridato un volto umano a una religione che rischiava di schiacciarsi sotto il peso della paura.

Un messaggio politico senza tempo

Non va dimenticato il gesto più visionario: andare dal Sultano d’Egitto in piena crociata. Mentre gli eserciti combattevano, Francesco andava a parlare. Non per convertire con la forza, ma per dialogare. Per ascoltare. Era un atto politico. Una scelta che smascherava l’assurdità della guerra di religione. Oggi, in un mondo che continua a costruire muri, che alimenta paure e diffidenze, quella lezione brucia ancora. Francesco resta un uomo scomodo. Perché non giustifica il potere. Lo mette in crisi. Perché non legittima le guerre. Le smaschera.

Un patrimonio che appartiene a tutti

Celebrare il 4 ottobre non significa imporre una fede. Non significa confondere Stato e Chiesa. Significa riconoscere che ci sono figure che parlano a tutti. Francesco appartiene ai credenti, ma anche agli increduli. A chi cerca pace, a chi difende l’ambiente, a chi crede nella dignità umana. Non è un santo di parte. È un santo universale.

Una scelta che dice molto dell’Italia

La politica, spesso divisa su tutto, ha trovato qui un terreno comune. Un segno. Non sarà solo un nuovo giorno rosso sul calendario. Sarà il riconoscimento di un modello che parla al futuro. Un uomo che ha sfidato il potere con la povertà. Che ha fatto della gioia una rivoluzione. Che ha trasformato la morte in sorella. E se la politica non capirà fino in fondo la portata di questa scelta, sarà la storia a ricordarlo: la vera rivoluzione resta quella di Francesco.