Scenari futuri: il ritorno dei nazionalismi, il vuoto europeo, il rischio americano

Nel vortice globale di instabilità e regressione democratica, gli interrogativi sul futuro si fanno sempre più urgenti. Dopo aver analizzato il declino democratico e la possibile centralità morale del papato, è necessario volgere lo sguardo ai due grandi poli storici della democrazia occidentale: gli Stati Uniti e l’Europa. Entrambi, oggi, appaiono in difficoltà strutturale, seppure per ragioni diverse. In questo vuoto politico e ideale, il mondo rischia di sprofondare in un nuovo Medioevo geopolitico, fatto di conflitti regionali, regimi illiberali, e isolamento nazionale.

Il caso americano e i rischi per la democrazia

Negli Stati Uniti, il secondo mandato di Donald Trump (2024–2028) ha riaperto con forza una ferita mai rimarginata: quella tra due Americhe inconciliabili. Da un lato, le élite urbane, progressiste, globaliste; dall’altro, un’America profonda, conservatrice, diffidente verso le istituzioni e sempre più permeabile a teorie complottiste e narrazioni anti-sistema.

I primi mesi del nuovo mandato repubblicano sono già segnati da un ritorno al nazionalismo, alla retorica muscolare, e da un attacco sistematico contro le strutture di mediazione istituzionale. La stampa libera è sotto costante delegittimazione, la magistratura è diventata oggetto di scontro ideologico, e la separazione dei poteri si fa ogni giorno più fragile.

Secondo un sondaggio Pew Research del 2025, oltre il 60% dei cittadini americani ritiene che il proprio sistema democratico sia “in grave pericolo” e che “potrebbe collassare” nei prossimi dieci anni. Gli studiosi parlano apertamente di rischio di una democratura: una forma di regime autoritario sostenuto dal voto, in cui la forma democratica sopravvive, ma la sostanza si svuota.

La crisi dell’Europa 

Se l’America preoccupa per la sua deriva autoritaria, l’Europa delude per la sua inconsistenza. L’Unione Europea, nata come progetto di pace e unità dopo le tragedie del Novecento, oggi appare come un gigante amministrativo ma un nano politico. Le divergenze tra i Paesi membri si sono fatte insostenibili: su migranti, politica estera, spese militari, rapporti con la Cina e con la Russia.

Il fallimento del vertice di Kyiv dei primi di maggio, in cui l’Italia si è ritrovata isolata e il cosiddetto “asse franco-tedesco” ha deciso per conto proprio, è solo l’ultimo esempio della paralisi decisionale che affligge l’Unione. In politica estera l’UE non parla con una voce sola, ma con 27 lingue diverse.

In un mondo dominato da superpotenze assertive — Cina, Russia, Stati Uniti — l’Europa appare incapace di agire, priva di un esercito comune, di una vera intelligence condivisa, e soprattutto di una visione geopolitica. È sintomatico che nei conflitti internazionali più caldi — Ucraina, Medio Oriente, Taiwan — la voce dell’Europa sia marginale, spesso assente.

Il ritorno degli imperi regionali

Con il declino della leadership democratica occidentale, il mondo potrebbe frammentarsi in blocchi regionali autoritari. La Cina continuerà la sua espansione economico-militare in Asia e in Africa; la Russia rafforzerà la sua influenza nei Balcani, nel Caucaso e in Medio Oriente; la Turchia diventerà un attore egemonico nel Mediterraneo orientale. Il rischio? Una lunga fase di guerre fredde locali, con conflitti per procura, destabilizzazione e sfide ai diritti umani.

L’implosione occidentale

Gli Stati Uniti potrebbero cadere in una crisi interna devastante, con scontri sociali, polarizzazione irreversibile, e perfino una secessione di fatto tra Stati “blu” e “rossi”. L’Europa, intanto, potrebbe perdere ulteriori pezzi (si parla con sempre più insistenza di un possibile “Italexit” o di un’Ungheria fuori dall’Unione) e trasformarsi in una federazione debole, più simile alla Lega Anseatica che a una vera unione politica.

La rinascita morale 

Il terzo scenario, meno probabile ma non impossibile, è una rinascita morale e civica guidata da figure carismatiche non politiche. In questo contesto, il ruolo del nuovo Papa potrebbe farsi centrale. Come Giovanni Paolo II fu decisivo nella fine del comunismo, così questo nuovo Pontefice potrebbe diventare il catalizzatore di un risveglio globale delle coscienze.

Non si tratterebbe di un potere politico, ma di un’autorità morale capace di ricostruire la fiducia, promuovere un nuovo patto tra popoli e indirizzare la società verso la giustizia, la solidarietà, la verità.

Una luce nel caos

In un momento storico in cui tutto sembra collassare — istituzioni, leadership, linguaggi comuni — il mondo ha bisogno più che mai di figure credibili e universali. Se la politica non riesce più a offrire senso e orizzonte, può essere il tempo della spiritualità, dell’etica, del pensiero profondo.

Il Papa potrebbe essere, oggi, l’ultimo leader globale non divisivo. E se il mondo saprà ascoltare, questa congiuntura storica — così grave, così unica — potrebbe diventare non solo un segno di crisi, ma anche un’opportunità di rinascita.

“Quando le luci della città si spengono, bisogna cercare la luce dentro di sé.” (Albert Camus)