Stefano Cucchi, 16 anni dopo: la sorella Ilaria torna davanti al Pertini

Ilaria Cucchi

Era il 22 ottobre 2009 quando Stefano Cucchi, 31 anni, moriva all’interno del reparto detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma, dopo essere stato fermato e posto in custodia cautelare. La morte di Stefano Cucchi è diventata negli anni un simbolo delle falle del sistema della giustizia penale in Italia, in particolare nel trattamento dei detenuti e delle persone in custodia cautelare. La sua famiglia, in particolare la sorella Ilaria Cucchi, ha portato avanti una lunga battaglia per la verità e la giustizia, contribuendo a tenere viva l’attenzione pubblica su temi cruciali come tortura, percosse, depistaggi e trasparenza istituzionale.

Il ritorno di Ilaria Cucchi al Pertini

Oggi, sedici anni dopo, Ilaria Cucchi — oggi senatrice di Alleanza Verdi Sinistra — è tornata davanti al reparto protetto del Pertini di Roma, il luogo dove il fratello venne ricoverato e dove ne fu annunciato il decesso. “Sedici anni fa, più o meno a quest’ora io e i miei genitori venivamo accolti… e sotto la pioggia ci veniva detto che Stefano era morto”.

Davanti a quel luogo simbolo di dolore e memoria, Ilaria Cucchi ha ricordato il fratello e ribadito il valore della giustizia, dichiarando all’Adnkronos: “Mio fratello Stefano Cucchi 16 anni fa moriva di carcere sì, ma anche di giustizia. A distanza di 16 anni è però evidente quanto la giustizia sia arrivata anche per lui – dice all’Adnkronos -. La giustizia è fatta dalle persone e in questo momento voglio dire il mio grazie ai magistrati Giovanni Musarò e Giuseppe Pignatone, all’avvocato Fabio Anselmo e a tutti coloro che hanno fatto in modo che per Stefano ci fosse giustizia, non solo per la sua uccisione ma per qualcosa che io ritengo se possibile più grave, i cosiddetti depistaggi che hanno impedito per anni alla mia famiglia di conoscere la verità”.

La denuncia sulle carceri italiane

Durante la visita, la senatrice Cucchi ha anche denunciato le condizioni della struttura e, più in generale, il dramma delle carceri italiane, tra carenze strutturali e disumanità: “…Ho avuto modo per la prima volta di visitare questa struttura e quello che ho trovato sono i problemi che appartengono alla realtà delle carceri, che purtroppo non sono destinati a cambiare: carenza di personale, che molto spesso si sente anche inadeguato al ruolo importante che gli viene conferito. Ci sono celle singole per i detenuti, loro non amano chiamarli detenuti ma pazienti, io li chiamo detenuti, non amano chiamarle celle ma stanze di degenza, ma sono celle, chiuse h24. Non hanno momenti di convivialità non hanno spazi comuni non possono camminare nemmeno nei corridoi quindi in un certo senso qui dentro vivono addirittura peggio che nelle strutture carcerarie”.

Una memoria che resta impegno civile

Sedici anni dopo la morte di Stefano Cucchi, la sua memoria non è soltanto commemorazione ma una chiamata collettiva alla responsabilità. Per molti cittadini e attivisti, la sua vicenda resta un monito: servono riforme nel sistema penitenziario, tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e un contrasto concreto alla violenza istituzionale e alla cultura del silenzio.

Come ha ribadito Ilaria Cucchi: “Servono nuove assunzioni, serve formazione, serve che queste realtà escano fuori, che siano aperte in modo che in qualche modo si risveglino le coscienze, questa è l’unica strada. Finché questi rimarranno luoghi chiusi nulla potrà cambiare”.

Il suo appello risuona come un invito a non dimenticare e a trasformare la giustizia per Stefano in un cambiamento reale per tutti.