L’inchiesta di Report sul Garante della Privacy, firmata da Sigfrido Ranucci, si è trasformata in un terremoto istituzionale che travolge uno dei pilastri della democrazia digitale italiana. Quello che doveva essere l’organo indipendente per eccellenza, chiamato a vigilare sulla riservatezza dei cittadini, appare ora l’epicentro di un intreccio di potere, politica e privilegi.
A finire nel mirino non è solo Agostino Ghiglia, già esponente di Fratelli d’Italia e oggi componente dell’Authority, accusato di aver informato Arianna Meloni — sorella della premier — delle decisioni del Garante su temi sensibili come la privacy e il Green Pass. Secondo Report, Ghiglia avrebbe scritto direttamente agli uffici del Garante per annunciare incontri con esponenti del partito e si sarebbe recato nella sede di Fratelli d’Italia poco prima della multa comminata alla stessa trasmissione di Rai3 per l’affaire Sangiuliano.
Un comportamento che, se confermato, configurerebbe una gravissima violazione di indipendenza. Ma il caso Ghiglia, per quanto eclatante, è solo la punta dell’iceberg.
Nel corso della puntata andata in onda su Rai3, Ranucci ha documentato una rete di conflitti d’interesse che coinvolgerebbe anche il presidente del Garante, Pasquale Stanzione, in quota Pd, e altri membri dell’Autorità. Secondo Report, Stanzione avrebbe avuto rapporti professionali e accademici con l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, lo stesso su cui il Garante ha emesso una sanzione contro la trasmissione di Rai3.
Un intreccio che parte dall’Università di Salerno, dove Stanzione e Salvatore Sica — fratello dell’avvocato di Sangiuliano — sono docenti, e dove lo stesso Sangiuliano dirigeva fino a poco tempo fa una scuola di giornalismo. Un cerchio ristretto di relazioni che, secondo i giornalisti di Report, avrebbe dovuto indurre Stanzione ad astenersi da qualsiasi decisione sul caso.
Ma non finisce qui. Nella lunga lista delle anomalie sollevate dalla trasmissione di Rai3 compaiono viaggi in business class, hotel di lusso e spese personali pagate con fondi pubblici. In particolare, la vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni, di nomina leghista, avrebbe effettuato diverse trasferte internazionali con biglietti in business class e soggiorni in alberghi a cinque stelle.
Secondo i documenti mostrati in trasmissione, in alcune note spese figurerebbero ristoranti di pregio, servizi di parrucchiere e persino acquisti di carne pregiata in una nota macelleria romana, a carico dell’Autorità. Spese che, nel migliore dei casi, denotano una gestione disinvolta del denaro pubblico.
A queste rivelazioni si aggiungono quelle sul commissario Guido Scorza, eletto con l’appoggio del Movimento 5 Stelle. L’ex avvocato, sempre secondo Report, si sarebbe espresso su pratiche legate ad aziende con cui aveva avuto rapporti professionali nel recente passato, salvo poi dichiarare di essersi “astenuto” da ogni decisione diretta.
Un intreccio di nomine politiche e interessi personali che mina la credibilità del Garante, già scosso dal caso Ghiglia. Quest’ultimo, nel 2021, avrebbe contattato personalmente Giorgia Meloni, allora leader dell’opposizione, per informarla in anticipo di un provvedimento del Garante contro il decreto sul Green Pass del governo Draghi. Poche ore dopo quella telefonata, Meloni pubblicò un comunicato in cui denunciava il decreto come «una violazione delle libertà fondamentali degli italiani», citando proprio le osservazioni del Garante. Un tempismo perfetto, che lascia pochi dubbi su come le informazioni riservate fossero già circolate ben prima della pubblicazione ufficiale del parere.
Il caso, rivelato da Report, ha riacceso la questione dell’indipendenza degli organismi di garanzia, nati per restare al di sopra delle parti e diventati invece terreno di scambio politico. La trasmissione di Ranucci, con documenti e testimonianze dirette, mostra come negli ultimi anni il Collegio del Garante sia diventato un mosaico di nomine spartite tra partiti: un membro vicino alla Lega, uno in quota Cinque Stelle, uno indicato dal Partito Democratico, e infine Ghiglia, espressione diretta di Fratelli d’Italia.
Il risultato è un’autorità che appare oggi profondamente divisa, attraversata da sospetti di favoritismi e da scelte che sembrano rispondere più a logiche di appartenenza che all’interesse pubblico. E i compensi non aiutano a ridimensionare la polemica: secondo Report, nel 2022 gli stipendi dei membri del Collegio sarebbero stati portati a 240 mila euro l’anno, grazie a una norma infilata in un decreto dal governo Draghi.
Sul fronte politico le reazioni non si sono fatte attendere. Nel Partito Democratico cresce l’imbarazzo: Stanzione, uomo di area dem, è ormai nel mirino anche di una parte della stessa opposizione, con Elly Schlein che, secondo indiscrezioni, si direbbe favorevole a chiedere le dimissioni del presidente per evitare un danno d’immagine al partito. Il Movimento 5 Stelle, invece, chiede un’ispezione parlamentare, mentre Fratelli d’Italia parla apertamente di «attacco politico» orchestrato da Report e da «un certo giornalismo militante».
Ma a scuotere ulteriormente l’opinione pubblica ci ha pensato la parte finale della puntata, dedicata a Chiara Colosimo, presidente della Commissione Antimafia. Ranucci ha mostrato una vecchia foto — datata 2015 — che ritrae Colosimo accanto a Pamela Perricciolo, la manager televisiva già coinvolta nel caso “Mark Caltagirone”, e a un busto di Mussolini, sotto la scritta ironica “Stiamo lavorando con nonno Benito per creare il nostro angolo di relax”. La deputata di Fratelli d’Italia, oggi figura di primo piano nella maggioranza, ha commentato l’immagine ammettendo: «Ho fatto una stronzata».
La sequenza finale di Report è un crescendo di indignazione e incredulità: mentre si raccontano spese folli e relazioni incrociate tra accademia, politica e potere, resta l’amara sensazione che l’organo incaricato di difendere la privacy dei cittadini sia divenuto un simbolo di opacità.
A vent’anni dall’istituzione del Garante, quello che emerge è un quadro disarmante: un’autorità che sembra aver perso il suo ruolo di arbitro neutrale, trasformandosi in un’arena dove si intrecciano ambizioni personali e interessi di partito.
Mentre la politica si divide tra chi chiede chiarimenti e chi prova a minimizzare, una cosa è certa: la fiducia dei cittadini nella trasparenza delle istituzioni è ancora una volta messa alla prova. E il paradosso è che, in nome della tutela dei dati personali, il Garante dovrà ora difendere la propria reputazione da un’inchiesta che rischia di scoprire molto più del previsto.







