Kupiansk torna ucraina e manda in tilt la narrativa del Cremlino: la mossa a sorpresa che spezza l’assedio e smentisce Trump

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Avanzano spesso, con uomini e mezzi che gli ucraini faticano a fronteggiare. E non di rado lo fanno mettendo in campo anche innovazioni tecnologiche e organizzative, come le nuove unità Rubikon che danno la caccia ai piloti di droni. Ma la guerra non è un’autostrada a senso unico, e Kupiansk lo ricorda con la brutalità dei fatti: Kiev riesce ancora a costruire colpi di mano dal valore strategico e simbolico, capaci di incrinare le certezze russe e, insieme, di smentire l’idea — rilanciata anche da Donald Trump — di una vittoria di Mosca “inevitabile” perché “più grande e più forte”.

Da cinque giorni, secondo le informazioni disponibili, l’esercito ucraino porta avanti un assalto a sorpresa su Kupiansk. Il presidente Volodymyr Zelensky si è spinto sul posto, in un’area esposta, a circa 2.600 metri dal nemico: distanza che, in un conflitto dominato dai quadricotteri-killer, dai mortai e dall’artiglieria, non è un dettaglio da comunicato stampa ma un rischio concreto. Il comando russo, dopo aver incassato il colpo, da lunedì sera sostiene di avere ripreso il controllo della città. Eppure la versione ufficiale non sembra convincere neppure chi, di solito, al Cremlino tende a credere per dovere più che per evidenza: blogger militari vicini a Mosca, come “Rybar” e “I due maggiori”, mostrano scetticismo. È il segnale che, oltre ai combattimenti, è partita la seconda battaglia: quella delle immagini, delle mappe, delle frasi scolpite nel marmo e poi smentite ventiquattr’ore dopo.

Stabilire la situazione reale, però, è sempre più difficile. In una guerra di droni e scontri urbani, la “linea del fronte” è diventata un concetto elastico: si piega con i palazzi rastrellati, con gli isolati contesi, con le squadre che si infilano e si sfilano in poche ore. Non a caso i fanti espongono bandiere nazionali per rendere visibili le conquiste, come se il territorio avesse bisogno di prove notarili. Di certo — per come viene raccontato anche dalle fonti sul campo — gli ucraini non avrebbero preso l’intera Kupiansk e nel centro resterebbero asserragliati almeno duecento russi. Ma l’affondo non si sarebbe fermato: Kiev consolida le zone occupate, rastrella i palazzi, e spinge verso est, trasformando la “sortita” in un problema stabile per Mosca.

Kupiansk non è un nome qualunque sulla mappa. Prima del 2022 contava circa 22 mila abitanti ed è il punto chiave sul fiume Oskil, corridoio naturale che dal confine russo attraversa la regione di Kharkiv e scende fino al Donetsk. È sempre stata una località strategica: l’Armata Rossa la difese per fermare le Panzerdivision hitleriane, e in seguito i tedeschi provarono a tenerla per rallentare la riscossa sovietica. Anche oggi, quel ruolo di “cerniera” torna centrale: chi controlla Kupiansk controlla accessi, ponti, rifornimenti, e soprattutto la possibilità di minacciare più a sud un altro tassello decisivo, Lyman, trampolino di lancio verso Sloviansk e Kramatorsk, le due città più grandi ancora in mano a Kiev nel settore di Donetsk che Putin rivendica come condizione per qualsiasi pace.

All’inizio dell’invasione, i russi catturarono Kupiansk senza resistenza, installandovi un governo provvisorio della regione di Kharkiv mentre assediavano invano il capoluogo. Nel settembre 2022 il contrattacco ucraino li cacciò. Poi, a fine 2024, Mosca ha ricominciato a premere, con bombardamenti pesanti. Fino al passaggio che, a novembre 2025, ha consentito ai russi di espugnare quasi completamente la città: l’infiltrazione di squadre di commandos nelle tubature sotterranee di un gasdotto lungo venti chilometri, sbucando alle spalle dei capisaldi ucraini. Il 20 novembre il generale Gerasimov arrivò a dire personalmente a Putin che Kupiansk era stata “liberata”. Meno di due settimane dopo, quella parola torna a sembrare fragile, quasi incauta.

Dal punto di vista militare, il nodo è uno: gli ucraini avrebbero trovato un modo — per ora non chiarito — per neutralizzare la “kill zone” di quadricotteri, una fascia profonda circa venti chilometri che rendeva proibitivo l’avvicinamento alla città. Un “sistema misterioso”, in sostanza, capace di bloccare i droni o di ridurne l’efficacia. Tolto il coperchio della minaccia aerea ravvicinata, venerdì cinque reparti avrebbero fatto irruzione simultaneamente nei quartieri settentrionali, spezzando in due lo schieramento russo. Secondo alcune fonti, al combattimento avrebbero partecipato anche autoblindo Centauro donate pochi mesi fa dall’Italia: un dettaglio che, se confermato, aggiunge un elemento politico oltre che operativo. Nuclei di sabotatori avrebbero poi fatto saltare i tunnel utilizzati per infiltrazioni e, potenzialmente, per ritirata o rinforzi; altre squadre avrebbero preso i boschi che costeggiano l’autostrada verso Lyman, cioè la vena logistica che alimenta l’avanzata russa più a sud.

Solo lunedì, sempre secondo le ricostruzioni circolate, sarebbe arrivata una reazione russa. Ma le foto geolocalizzate che circolano in questi casi — quando circolano — suggerirebbero una risposta incompleta, forse neppure arrivata alla periferia. Il risultato, al netto delle propagande contrapposte, è che l’operazione ostacola il piano del Cremlino di attaccare da nord Kramatorsk e Sloviansk e, soprattutto, interrompe l’autostrada che rifornisce le avanguardie russe penetrate a Lyman. In guerra, tagliare un rifornimento vale spesso più che conquistare una piazza.

Questo scontro non ribalta, da solo, il quadro generale, dove Mosca continua a godere di un vantaggio in risorse e pressione. Ma illumina una verità che il Cremlino prova a nascondere dietro i comunicati: molte conquiste non sono blindate. Le forze russe vengono spinte ad avanzare per trasformare metri di terreno in moneta negoziale, da spendere ai tavoli diplomatici. Il rovescio della medaglia è che, inseguendo la fotografia del giorno, si lasciano dietro retrovie fragili, linee lunghe, presìdi esposti. Succede nella sacca di Pokrovsk, assediata da sedici mesi, dove Mirnohrad resiste anche se cibo e munizioni arrivano soltanto via droni. Succede lungo una linea del fuoco sterminata, dove si prendono villaggi e si entra nei quartieri di città fantasma: piccoli passi che costano perdite enormi, senza scardinare davvero le difese.

Kupiansk, in questo quadro, è una ferita aperta e una lezione: anche quando sembra che “le dimensioni vincano”, basta un varco tecnologico, un errore logistico, un pezzo di retrovia scoperto e un attacco pensato bene per trasformare una “liberazione” proclamata in un’incertezza che brucia. E nella guerra più filmata della storia, l’incertezza è già una sconfitta parziale, perché obbliga tutti a guardare di nuovo la mappa e a chiedersi: chi, davvero, sta controllando cosa.