“Il potere vive dell’ignoranza delle folle”, ha detto recentemente Umberto Galimberti. Una frase forte, che però trova conferma nei numeri. Secondo dati OCSE, il 51% dei ragazzi italiani che escono dalla terza media sa leggere ma non capisce ciò che legge. Una statistica allarmante, che ci costringe a porci una domanda scomoda: come può un paese che si considera “la culla della cultura” convivere con questi livelli di analfabetismo funzionale?
Cosa significa “analfabetismo funzionale”?
Non stiamo parlando di persone che non sanno leggere o scrivere, ma di chi, pur sapendo farlo, non riesce a usare queste competenze in modo efficace nella vita quotidiana. Leggere un articolo, compilare un modulo, capire le istruzioni di un farmaco: tutte attività che richiedono più della semplice decodifica delle parole. Richiedono comprensione, pensiero critico, capacità di collegare le informazioni.
In Italia, secondo l’indagine PIAAC dell’OCSE del 2019, ben il 28% degli adulti tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Solo Spagna e Turchia fanno peggio in Europa.
Il problema non nasce oggi. Affonda le radici nella storia recente del nostro Paese, in particolare nell’urbanizzazione rapidissima del secondo dopoguerra. Milioni di italiani, provenienti da contesti rurali poveri e con scarsa scolarizzazione, si sono riversati nelle città in cerca di lavoro e benessere. Il boom economico ha portato case, televisori, automobili, ma non sempre un’istruzione solida e diffusa. Il cambiamento è stato economico, più che culturale.
Molti si sono trovati improvvisamente immersi in un mondo urbano che richiedeva competenze nuove, senza che ci fosse stato un reale processo educativo e culturale a sostegno. Il risultato è un’eredità pesante, una frattura tra generazioni e territori, con effetti ancora visibili oggi.
Oggi la scuola italiana deve affrontare sfide complesse. Molti ragazzi arrivano alla fine del ciclo obbligatorio con competenze di base insufficienti. L’ultima indagine OCSE-PISA mostra come l’Italia sia in fondo alle classifiche europee per capacità di lettura e comprensione dei testi.
E ci sono anche altri fattori: disturbi dell’apprendimento come dislessia e ADHD sono ancora sottodiagnosticati, specialmente alle superiori e all’università. Molti studenti che avrebbero bisogno di supporto non lo ricevono, e questo influisce negativamente sui loro risultati.
L’Italia e il confronto con il Nord Europa
Il confronto con paesi come la Svezia o i Paesi Bassi è impietoso. In Svezia, per esempio, il tasso di analfabetismo funzionale è molto più basso. Il sistema scolastico svedese investe da anni sul pensiero critico, sull’apprendimento continuo e sull’inclusione. Ogni studente riceve supporto personalizzato, e le disabilità dell’apprendimento sono prese in carico sin dai primi anni.
Anche i Paesi Bassi puntano molto sull’educazione inclusiva: ogni ragazzo ha la possibilità di imparare secondo i propri tempi e bisogni, e il sistema accompagna chi è in difficoltà, anziché lasciarlo indietro.
C’è chi parla, provocatoriamente, di “desertificazione neuronale”. È un’immagine forte, ma non così lontana dalla realtà: in un mondo sempre più complesso e digitale, restare indietro nelle competenze di base significa essere esclusi non solo dal lavoro, ma anche dalla cittadinanza attiva. Chi non capisce ciò che legge ha difficoltà a informarsi, a partecipare al dibattito pubblico, a difendere i propri diritti. In una parola: a essere libero.
Serve un piano nazionale per l’alfabetizzazione funzionale, che coinvolga scuola, famiglie, media e istituzioni. Serve una formazione degli insegnanti aggiornata, fondi per il supporto agli studenti con bisogni educativi speciali, e una nuova centralità della lettura e della comprensione critica nei programmi scolastici.
Ma serve anche una presa di coscienza collettiva: il problema non riguarda solo i giovani o la scuola, ma tutti noi. Perché un popolo che non capisce ciò che legge è un popolo più facile da manipolare, più fragile, meno libero. E questo, come dice Galimberti, fa comodo a chi detiene il potere.
Umberto Eco disse: “Essere colti non significa ricordare tutte le nozioni, ma sapere dove andare a cercarle.”
di Luca Falbo