Guerini, Gori, Picierno e Quartapelle scaldano i motori per il 24 ottobre a Milano, quando nascerà l’ennesima corrente del Partito democratico. Intanto Schlein riempie la Direzione di slogan e inviti all’unità
Un partito in ebollizione, che ribolle come una pentola dimenticata sul fuoco. È il Pd versione 2025, dove la parola d’ordine “unità” risuona come un mantra tanto ripetuto quanto disatteso. Elly Schlein, dal palco della Direzione elettorale, ha sfoderato il repertorio completo: dai cortei per Gaza alla battaglia referendaria sulla separazione delle carriere dei magistrati, passando per l’appello finale ai riformisti. Ma la platea era già con lo sguardo altrove, più interessata a fare i conti sulle prossime Regionali e a misurare il termometro interno che non a seguire la liturgia del Nazareno.
“Serve unità nel partito e fuori dal partito”, ha ripetuto Schlein, quasi implorando. Ma le sue parole suonano stonate in un contesto dove la divisione è ormai l’unica lingua madre. A dirlo senza troppi giri di parole è stata Lia Quartapelle, sibillina ma non troppo: “Il confronto dovrà aprirsi dopo le Regionali, anche in base a come andranno”. Tradotto: se la segretaria inciampa, i riformisti le presenteranno il conto, e il conto non sarà scontato.
Ad ascoltarla c’erano quasi tutti, presenti o collegati, i soliti riformisti con il broncio e il taccuino degli appunti pronti. Ma la vera notizia è un’altra: Guerini, Gori, Picierno e la stessa Quartapelle hanno già fissato l’appuntamento. Il 24 ottobre a Milano nascerà l’ennesima corrente dem, una “nuova area culturale accogliente per i riformisti”, come amano chiamarla loro. Un nome elegante per dire che il Pd avrà l’ennesima tribù con vessillo, regole proprie e soprattutto la voglia di contarsi.
Bonaccini, che avrebbe dovuto fare l’antagonista interno di Schlein, viene accusato dai suoi di essere troppo morbido, quasi un viceré senza esercito. Il suo atteggiamento conciliante non piace a chi invece scalpita per sganciarsi, convinto che senza una voce distinta i riformisti finiranno stritolati tra il movimentismo radicale della segretaria e la voglia di resistenza sterile di altri pezzi del partito. Così anche il presidente dell’Emilia-Romagna, più che un leader, sembra un supplente distratto in una classe di studenti pronti a lanciarsi i compiti addosso.
Lo spettacolo è quello di sempre: da una parte una segretaria che prova a vendere compattezza, dall’altra una minoranza che prepara l’ennesimo strappo, e nel mezzo un elettorato che assiste stanco, convinto che il Pd abbia trasformato la politica in un eterno congresso itinerante. Il rischio è che le Regionali diventino non tanto il banco di prova per il governo Meloni, quanto il pretesto per l’ennesima faida interna.
Non basta evocare “una generazione di militanti che non ha più da dividersi per appartenenze pregresse”: il Pd vive da sempre di appartenenze, correnti e correntine. È il suo dna, la sua malattia cronica e insieme la sua scusa eterna. Ogni sconfitta viene spiegata con le divisioni, ogni divisione giustificata con la promessa di un futuro più unito. Un gioco di specchi che dura da anni e che sembra non finire mai.
Così, mentre Schlein prova a stringere le fila in vista del voto, i suoi dirigenti organizzano l’ennesimo derby interno. Non ci sarà sangue, certo, ma la liturgia è già scritta: riunione, documento, corrente, dichiarazioni ai giornali. E poi, forse, un’altra scissione a lungo termine. Il tutto condito da slogan sul “nuovo inizio” e sull’“area culturale accogliente”, che tradotto significa: chi ha perso la pazienza vuole più poltrone e più potere decisionale.
Eppure l’ironia è che ogni nuova corrente viene presentata come la soluzione al caos, ma finisce per aggiungere caos al caos. Una sorta di matrioska infinita: dentro a ogni corrente c’è sempre un’altra mini-corrente pronta a litigare sul colore del logo o sulla sfumatura del comunicato stampa. E nel frattempo, il Paese osserva perplesso, chiedendosi se questo partito sia ancora capace di fare opposizione al governo o se ormai l’unico nemico da battere resti sé stesso.
Il 24 ottobre, a Milano, si consumerà l’ennesimo rito: la nascita della corrente dei riformisti veri, quelli che non ci stanno al “volemose bene” e preferiscono il “volemose contare”. Sarà l’ennesimo scatto d’orgoglio o soltanto l’ennesima fotografia di un partito che riesce a fare opposizione solo a sé stesso? Per ora resta la certezza che il Pd è in ebollizione. E quando una pentola ribolle troppo a lungo, o si abbassa il fuoco o si prepara a esplodere. E in questo caso, c’è da scommettere, a raccogliere i cocci non sarà Elly Schlein ma chi avrà già pronto un’altra corrente in incubazione.
di Luca Arnaù