Riparte il valzer delle poltrone: 96 nomine da rifare, intrecci politici e strategie del governo tra Consob, grandi partecipate e authority dell’energia

Palazzo Chigi

Il calendario dice che manca poco alla metà del 2026, ma negli uffici ministeriali la sensazione è che si sia già entrati nel vivo del grande gioco delle nomine. È una delle stagioni più imponenti degli ultimi anni: il Centro Studi CoMar, che monitora sistematicamente gli incarichi pubblici, ha contato 96 poltrone in scadenza nei prossimi mesi, distribuite tra authority, enti vigilati e società partecipate di peso assoluto nel sistema economico italiano. Una mappa fitta, che richiede al governo Meloni un equilibrio politico e istituzionale più complesso del solito.

La partita più visibile è quella delle cinque grandi partecipate: Eni, Enel, Leonardo, Poste Italiane e Terna. Un perimetro strategico che vale infrastrutture, sicurezza energetica, difesa, servizi fondamentali e un capitale simbolico difficile da ignorare. Qui la linea che filtra da Palazzo Chigi è quella della continuità: le performance degli ultimi esercizi, tra utili solidi e governance percepita come stabile, spingono verso la conferma degli amministratori delegati. Claudio Descalzi in Eni – vicino al traguardo del quinto mandato – appare destinato a restare. In Enel, Flavio Cattaneo dovrebbe essere confermato, anche se qualcuno lo immagina in movimento verso Generali. Roberto Cingolani resterà con ogni probabilità alla guida di Leonardo, mentre in Poste non sembrano esserci dubbi su Matteo Del Fante e sul direttore generale Giuseppe Lasco. Anche Giuseppina Di Foggia, forte dei risultati registrati da Terna, sembra avviata verso la riconferma. Semmai la variabile riguarda le presidenze: ruoli meno esposti, più politici, talvolta utilizzati per costruire nuovi equilibri. In Eni si parla con insistenza di Elisabetta Belloni come possibile successora di Giuseppe Zafarana.

Qui però finisce il terreno relativamente stabile. Il fronte davvero delicato è quello delle authority, dove la scadenza di Paolo Savona alla Consob – prevista per marzo 2026 – sta già generando movimento. Il nome più ricorrente è quello del sottosegretario all’Economia Federico Freni, considerato vicino alla Lega e protagonista di una crescita politica costante nell’ultimo triennio. La Commissione che vigila sui mercati finanziari è un presidio centrale, delicato, osservato dalle istituzioni internazionali e dai grandi investitori. La scelta, dunque, non sarà scontata: i criteri di competenza si intrecceranno con quelli di equilibrio politico nel momento stesso in cui il governo dovrà gestire, in parallelo, i rinnovi delle partecipate industriali. Una coincidenza temporale che complica ulteriormente la partita.

Ma Consob è solo l’inizio. La lista degli enti in scadenza è lunga: 23 strutture di primo livello e altre decine di organismi minori. Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, è già tecnicamente scaduta: il mandato di Stefano Besseghini è terminato in agosto e serve una nomina forte, competente e accettata da un settore attraversato da tensioni geopolitiche e regolatorie. Nel 2026 arriverà poi il turno dell’Antitrust guidata da Roberto Rustichelli, dell’Anac di Giuseppe Busia, dell’Enac e di un’altra serie di organismi fondamentali come Agea, Agenas, Anvur, Ispra, oltre all’intero sistema degli Enti Parco. Un mosaico variegato che tocca trasporti, università, agricoltura, sanità, tutela ambientale.

In totale sono 106 gli enti sotto vigilanza ministeriale, di cui 32 coinvolti in questa tornata di rinnovi. La distribuzione per settori dice che 19 operano nell’ambiente, 6 nell’economia e nel lavoro, 5 in cultura, scienza e sport. È un’architettura istituzionale che non decide solo nomi e carriere, ma orienta politiche, investimenti, bandi, controlli e capacità di intervento pubblico per i prossimi anni. È per questo che il governo si muove con cautela, consapevole che ogni casella spostata può generare effetti a catena.

Nella maggioranza intanto le diplomazie interne lavorano per garantire la massima compattezza possibile. La Lega guarda con interesse alla partita Consob, mentre Fratelli d’Italia punta all’equilibrio complessivo della governance statale. Forza Italia, dal canto suo, osserva con attenzione Eni, Enel e Poste: strutture che tradizionalmente hanno avuto un rapporto stretto con l’area moderata. Al netto delle dinamiche politiche, il criterio che Palazzo Chigi vuole comunicare è quello dell’affidabilità: l’“usato sicuro” come antidoto all’incertezza, in una fase internazionale in cui energia, difesa e reti rappresentano i punti nevralgici della tenuta del sistema-Paese.

Molto dipenderà dagli incastri. La scelta del nuovo presidente Consob dovrà garantire competenza, neutralità e credibilità internazionale. Le grandi partecipate dovranno proseguire nel solco dei risultati economici e della trasformazione industriale degli ultimi anni. Arera richiede figure solide, in grado di orientare un mercato dell’energia che resta esposto a oscillazioni globali e a cambiamenti normativi continui. Le altre authority, dall’Antitrust all’Anac, necessitano di leadership capaci di assicurare indipendenza in settori in cui ogni decisione può incidere sulla concorrenza o sulla trasparenza del sistema.

Il valzer delle poltrone è appena iniziato, ma il suo ritmo sarà serrato. La posta in gioco non è solo il controllo degli enti, ma la capacità del governo di imprimere una direzione coerente all’intero apparato pubblico nei prossimi anni. I nomi, per ora, sono solo suggestioni. Le scelte, quelle vere, arriveranno nelle prossime settimane. E segneranno la mappa del potere istituzionale italiano per buona parte della legislatura.