C’è un foglio, battuto a macchina e spedito senza mittente, che da qualche giorno rimbalza fra le mani degli investigatori come un indizio inatteso. Una lettera anonima, arrivata alla redazione di “Report”, potrebbe aggiungere un tassello importante nell’indagine sull’attentato del 16 ottobre contro Sigfrido Ranucci, il conduttore della trasmissione di Rai3. Quella notte una bomba carta riempita con un chilo di polvere pirica venne fatta esplodere davanti alla sua abitazione di Campo Ascolano, a Pomezia, danneggiando le auto parcheggiate, compresa quella della figlia. Un’intimidazione costruita per colpire non soltanto un giornalista, ma un simbolo di un certo modo di fare televisione d’inchiesta.
La missiva, poche righe dense di allusioni e di riferimenti tecnici, indica una pista precisa: la Campania, la camorra, e un intreccio che si salderebbe con ciò che “Report” ha raccontato appena poche ore prima dell’esplosione. Il pm Carlo Villani vuole capirci di più, e lo farà ascoltando come persone informate sui fatti due protagonisti indiretti della vicenda: l’inviato Daniele Autieri, autore del servizio andato in onda la domenica precedente, e Francescomaria Tuccillo, ex amministratore delegato dei Cantieri Navali Vittoria (Cnv) di Adria, nel Rodigino.
Secondo la ricostruzione contenuta nella lettera, la matrice dell’attentato sarebbe legata a “ambienti criminali” chiamati in causa proprio dall’inchiesta tv. Un collegamento che ha spinto i carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma ad acquisire immediatamente il documento, catalogarlo, verificare i riferimenti e incrociarlo con i contenuti del servizio. Un lavoro che richiederà tempo, perché la vicenda tocca livelli multipli: territoriale, economico, giudiziario.
Il nodo principale è l’ispezione presso il cantiere Cnv di Adria, avvenuta il 24 settembre, quando Autieri si recò negli uffici per intervistare l’attuale presidente Roberto Cavazzana. Poche settimane prima alcuni dipendenti avevano trovato due casse in legno in un capannone: al loro interno, secondo quanto riportato da “Report”, c’erano due mitragliatrici non registrate, associate a motovedette destinate all’Oman. Le armi, secondo il racconto della trasmissione, sarebbero state un indizio di un traffico internazionale non autorizzato. Era stata definita una “prova” che giustificava l’apertura di una pista investigativa difficile e potenzialmente esplosiva.
L’inchiesta televisiva entrava poi nelle pieghe societarie dei Cantieri Navali Vittoria. Raccontava come, per sostenere gli 8,2 milioni necessari all’acquisto dell’azienda — formalizzato all’inizio del 2025 — Cavazzana avesse ricevuto un finanziamento da Arkipiù, società casertana attiva nel settore immobiliare. Nulla di illecito, in sé. Ma un particolare attirava l’attenzione: tra gli ex soci di Arkipiù figurava una persona che in passato aveva avuto affari con Luigi Russo, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa con il clan dei Casalesi, in particolare con il gruppo guidato da Giuseppe Setola. Una parentela imprenditoriale sufficiente a collocare Arkipiù in un cono d’ombra che richiedeva approfondimenti, anche se nessuna responsabilità diretta veniva attribuita dai giornalisti all’azienda campana.
A distanza di poche ore dalla messa in onda del servizio, però, qualcosa si muove. Il 17 ottobre, il giorno successivo all’esplosione davanti alla casa di Ranucci, Tuccillo — allora ancora amministratore delegato — riceve una pec dalla proprietà in cui gli viene chiesto di lasciare il suo incarico. Le dimissioni ufficiali saranno poi formalizzate il 10 novembre. Una tempistica che, agli occhi degli investigatori, non è necessariamente una prova, ma certo è una circostanza da mettere in fila, insieme alla lettera anonima e alle immagini delle auto danneggiate.
L’ipotesi su cui lavora la Procura di Velletri, competente per territorio, è che l’attentato possa essere stato un avvertimento. Un messaggio indirizzato a chi racconta, o vuole raccontare, ciò che accade nelle aree grigie dove industria, affari e criminalità organizzata si sfiorano. La lettera anonima, su questo punto, è esplicita: indica nomi, suggerisce movimenti, fa riferimento a un “clima ostile” creato dal servizio televisivo. È un documento che dovrà essere verificato riga per riga, ma che ha aperto uno scenario nuovo, più complesso, in cui la vicenda non è più solo un atto intimidatorio isolato, ma il possibile tassello di una reazione criminale articolata.
Il pm Villani dovrà accertare quanto di ciò che è scritto nella missiva sia reale e quanto sia il frutto di una strategia di depistaggio. Allo stesso tempo, dovrà chiarire se il contenuto dell’inchiesta di “Report” abbia in qualche modo toccato interessi economici e criminali tali da giustificare un gesto così plateale e violento. Le indagini, al momento, restano in una fase preliminare, ma gli elementi raccolti iniziano a disegnare un quadro con molte più ombre che luci.
Mentre il lavoro degli investigatori procede, resta intatto il punto politico della vicenda: l’attacco a un giornalista nel tentativo di condizionare, intimidire o fermare il racconto giornalistico. Una dinamica che in Italia ha storia e precedenti, ma che ogni volta apre una ferita nel diritto di cronaca e nella libertà di informazione. La lettera anonima non chiude il caso: lo riapre. E lo rende ancora più urgente.







