Il tumore non ti licenzia più: la legge che restituisce dignità ai lavoratori fragili

Non sarà più la malattia a scegliere per te. Con l’approvazione definitiva del Senato, una legge attesa da anni diventa realtà: i lavoratori affetti da tumore, o da altre patologie gravi e invalidanti, potranno conservare il posto per due anni anche in assenza di stipendio. Un diritto elementare che però finora non era garantito. Troppi, in passato, hanno dovuto affrontare una seconda battaglia, quella contro il licenziamento, mentre erano in cura. Ora non sarà più così.

La legge sulla “conservazione del posto di lavoro per i malati oncologici” è stata approvata in via definitiva con voto trasversale, a testimonianza di un consenso politico raro, e riguarda sia il settore pubblico che quello privato. L’obiettivo è proteggere i diritti delle persone fragili, garantendo loro non solo il tempo per curarsi, ma anche la possibilità concreta di tornare a vivere, e lavorare, dopo le cure.

Il punto chiave è il congedo straordinario non retribuito: fino a 24 mesi complessivi, anche non continuativi, per chi ha una certificazione di invalidità pari o superiore al 74%. Durante questo periodo, il lavoratore non potrà essere licenziato e non potrà svolgere altre attività lavorative, ma avrà la certezza di rientrare una volta terminato il trattamento.

In passato il limite era di soli sei mesi. Oltre, spesso, scattavano le procedure di licenziamento. Un meccanismo che colpiva non solo il malato, ma tutta la famiglia, già messa alla prova da terapie, viaggi, ricoveri e angosce. Con questa riforma, invece, si introduce una logica di protezione e reintegrazione, che riconosce il lavoro come parte essenziale della guarigione.

Ma non è tutto. Al termine del congedo, il dipendente avrà diritto di precedenza nell’accesso al lavoro agile (se compatibile con le sue mansioni), per consentire una ripresa graduale, in un ambiente più flessibile e meno stressante. Una norma che guarda anche all’equilibrio psicologico della persona, e alla possibilità di conciliare la ripresa lavorativa con i controlli post-terapia.

Inoltre, i permessi retribuiti salgono a 10 ore mensili – contro le 8 previste in precedenza – e si applica la stessa disciplina utilizzata per i casi di gravi patologie che richiedono terapie salvavita. Questo significa che le ore in più saranno riconosciute come “tempo di malattia”, con la relativa indennità economica.

Per garantire l’attuazione della legge è previsto un finanziamento progressivo, che partirà da 20,9 milioni di euro nel 2026 e raggiungerà 25,2 milioni l’anno nel 2035. Risorse che serviranno anche a finanziare un fondo speciale presso il Ministero dell’Università e della Ricerca, con 2 milioni di euro annui dedicati a premi di laurea in discipline sanitarie, intitolati alla memoria di pazienti oncologici. Un modo per tenere viva la loro storia, trasformandola in conoscenza.

Secondo le associazioni dei malati, questa legge è “un atto di civiltà”, perché riconosce che il diritto alla salute non può restare sulla carta se non è accompagnato da tutele concrete. “Ogni anno migliaia di lavoratori ricevono una diagnosi di tumore – ricorda la FAVO – e fino a oggi molti sono stati lasciati soli, obbligati a scegliere tra la cura e il lavoro. Ora non più”.

Il provvedimento, pur partendo nel 2026, segna un cambio di passo culturale, oltre che normativo. Perché il lavoro non è solo reddito, ma anche identità, appartenenza, speranza. Restituirlo a chi combatte per la propria vita è un gesto che vale più di mille parole.