Guerra di parole tra Israele e Vaticano: Parolin accusa, l’ambasciata reagisce. Leone XIV: «L’odio non è mai una difesa»

Cardinale Pietro Parolin

La nuova crisi tra Israele e il Vaticano nasce da una parola. O, più precisamente, da come quella parola è stata usata. Nell’intervista concessa ai media vaticani, il cardinale Pietro Parolin ha parlato di “massacro”, riferendosi tanto all’attacco di Hamas del 7 ottobre quanto ai bombardamenti israeliani su Gaza. Una parola che, per l’ambasciata israeliana presso la Santa Sede, è suonata come un’equivalenza inaccettabile.

La nota diffusa da Tel Aviv è dura: «Sebbene sicuramente ben intenzionata, l’intervista rischia di minare gli sforzi per porre fine alla guerra e contrastare l’antisemitismo. Non esiste equivalenza morale tra uno Stato democratico che difende i propri cittadini e un’organizzazione terroristica che vuole sterminarli».

La replica di Leone XIV arriva da Castel Gandolfo, con il tono calmo ma deciso che lo contraddistingue: «Preferisco non commentare, ma il cardinale Parolin ha espresso con chiarezza la posizione della Santa Sede». Poi il Papa aggiunge, quasi a volere riportare tutto al piano umano: «Il 7 ottobre morirono milleduecento persone. Da allora i palestinesi uccisi sono sessantasettemila. È una ferita che riguarda l’intera umanità. Bisogna ridurre l’odio, non alimentarlo».

Il Vaticano non arretra di un passo. E mentre da Gerusalemme trapela irritazione per un linguaggio percepito come “sbilanciato”, in Curia si legge l’episodio come il segnale di un cambio di rotta: il ritorno di una diplomazia della parola, capace di disturbare ma anche di ricordare che la pace non è mai neutrale. L’arcivescovo Vincenzo Paglia, da sempre voce di frontiera nel dialogo tra fedi, spiega: «A non poter essere equiparate sono piuttosto le vite umane innocenti e le logiche del potere. La difesa è legittima, ma la strage di civili non lo è mai. Leone XIV ha ribadito che senza una patria un popolo smette di essere un popolo. È una posizione di verità, non di parte».

Lo scontro arriva nel momento più delicato. Il Pontefice, eletto pochi mesi fa, si prepara al suo primo viaggio internazionale: dal 27 novembre al 2 dicembre sarà in Turchia e in Libano, terre simboliche del dialogo tra le religioni del Libro. Ma la vigilia si tinge di tensione diplomatica, con il mondo diviso fra chi rivendica il diritto di Israele alla difesa e chi denuncia la catastrofe umanitaria a Gaza.

Il precedente non è isolato. Già un anno fa una frase di Parolin sulla “carneficina” in Medio Oriente era stata bollata come “deplorevole” dall’ambasciata israeliana. Poi, come spesso accade nella diplomazia vaticana, i toni erano stati smussati. Oggi però la distanza sembra più ampia, anche perché la Santa Sede non intende rinunciare alla sua funzione di “coscienza scomoda” della comunità internazionale.

Lo storico Carlo Felice Casula, promotore del Premio Achille Silvestrini per la pace, osserva: «Il Vaticano guarda al dolore concreto, non alle mappe geopolitiche. Il patriarca Pierbattista Pizzaballa, le suore di Gaza, i francescani della Custodia di Terra Santa: tutti vivono ogni giorno la tragedia che il cardinale Parolin ha semplicemente descritto». Casula aggiunge: «Il fastidio di Israele nasce dal fatto che la Santa Sede non parteggia. Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa ha combattuto ogni forma di antisemitismo, ma rifiuta di considerare la sofferenza palestinese un danno collaterale. Per il Papa, i morti sono tutti uguali».

In queste ore, Oltretevere si guarda bene dal riaprire ufficialmente la polemica. Ma il messaggio di Leone XIV è già arrivato lontano. E quando il Papa parla di “odio da ridurre”, non parla solo del Medio Oriente. Parla del mondo. Il suo pensiero corre alle guerre dimenticate, alle parole che dividono, alle verità che uccidono. Perché la diplomazia della Santa Sede non vive di schieramenti, ma di convinzioni: che il dialogo non sia debolezza, che la memoria non debba trasformarsi in vendetta, e che anche la verità – senza la misericordia – può diventare una forma di violenza. Mentre lascia Castel Gandolfo, la mano del Pontefice sfiora la croce pettorale. Un gesto lieve, ma eloquente. «Non serve scegliere da che parte stare», dirà poi a bassa voce, «quando si sta dalla parte dell’uomo».