Dopo i gravi episodi di violenza che hanno scosso il mondo del calcio – dal tragico caso di Rieti, dove un uomo ha perso la vita dopo un’aggressione, fino agli scontri di Fasano e Lecce – l’Associazione Nazionale Delegati alla Sicurezza (ANDES) prende una posizione netta contro il degrado culturale che alimenta la violenza negli stadi.
“Chi usa la violenza non può essere chiamato tifoso – dichiara Ferruccio Taroni, presidente nazionale di ANDES –. Definire tifosi queste persone è un errore che danneggia anche tutti coloro che vivono la passione sportiva con rispetto e civiltà. Questi soggetti non appartengono al mondo dello sport, ma a quello della delinquenza organizzata e della rabbia sociale. Le azioni di contrasto che spesso vengono messe in campo penalizzano gli sportivi veri che invece andrebbero premiati e sostenuti”.
Per Taroni, la sicurezza negli eventi sportivi non può essere affidata solo alle forze dell’ordine o ai protocolli repressivi: “Serve un percorso educativo profondo, capace di restituire al tifo la sua dimensione originaria: partecipazione, identità, appartenenza. Dobbiamo lavorare sui giovani, sui luoghi della formazione e sui progetti di cultura sportiva per costruire consapevolezza e rispetto reciproco”.
ANDES, che rappresenta i delegati alla sicurezza di eventi sportivi in tutta Italia, ribadisce la necessità di un approccio integrato tra istituzioni, scuole e società sportive, che punti a prevenire invece che punire, coinvolgendo il tessuto sociale nel recupero dei veri valori dello sport.
“La violenza va isolata, non normalizzata – conclude Taroni –. Per farlo, dobbiamo cambiare linguaggio, metodo e prospettiva. La sicurezza non si conquista solo con i divieti, ma con l’educazione, la conoscenza, il rispetto delle regole e la premialità per i sostenitori virtuosi che rendono lo sport una palestra di vita, non un campo di battaglia”.







