Ritorno al passato: latino, poesie a memoria… e i bagni senza carta igienica

Il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha annunciato, con una certa soddisfazione, la reintroduzione del latino nelle scuole e l’obbligo per gli studenti di imparare le poesie a memoria. Una scelta che, presa isolatamente, potrebbe persino sembrare un tentativo nobile di recuperare il valore delle radici linguistiche e della memoria culturale. Ma è una decisione calata dall’alto, fuori contesto, e, soprattutto, lontana anni luce dalle vere emergenze della scuola italiana.

Qualche ora di latino al mese, come fosse un’operazione nostalgia o un giochino identitario, non risolve nulla. Non c’è una visione didattica strutturata, né un piano per formare docenti in grado di insegnarlo con nuovi metodi. Il latino, lingua madre dell’italiano e delle lingue romanze, ha senso solo se rientra in una strategia educativa moderna, che colleghi le radici al presente, utilizzando anche strumenti digitali, giochi linguistici, interconnessioni con la matematica e il coding. Invece no: è una trovata buttata lì, come un totem simbolico, più ideologico che pedagogico.

E poi le poesie a memoria. Come se bastasse recitare due versi di Leopardi per educare alla bellezza. Nulla contro la memoria: anzi, è fondamentale, soprattutto nell’era dei “copia e incolla”. Ma anche qui manca un piano. Non c’è un’idea di come queste poesie possano dialogare con i linguaggi contemporanei, non si investe su laboratori teatrali, musica, scrittura creativa. Solo l’ennesimo ritorno a una scuola punitiva, che impone senza spiegare, che pretende senza formare.

Ma mentre si discute di latino e poesia, ci si dimentica che in molte scuole italiane non ci sono i laboratori. Che in migliaia di edifici scolastici mancano le certificazioni di sicurezza. Che ci sono bagni senza carta igienica, e i ragazzi sono costretti a portarsela da casa. Altro che declinazione latina: la vera emergenza è la dignità.

I docenti, spesso lasciati soli, sono chiamati ad affrontare sfide educative e sociali enormi, senza una formazione continua adeguata. Il mondo cambia a una velocità mai vista, ma la scuola resta ancorata a metodi e strumenti di 30-40 anni fa. Il latino deve essere introdotto, ma servono nuovi programmi e un investimento serio, non solo economico ma culturale, sulla figura dell’insegnante. Sono necessari per tutti i docenti aggiornamenti, percorsi ibridi, confronto con la pedagogia internazionale. Altro che quiz mnemonici e rigurgiti di autoritarismo.

Infine, la tecnologia. Troppo spesso vista come una minaccia, come un nemico che distrae e impoverisce. Ma i ragazzi vivono già in un mondo digitale. La scuola dovrebbe insegnare loro a governarlo, non ignorarlo. A distinguere la fonte attendibile dalla bufala, a usare l’intelligenza artificiale con spirito critico, a creare contenuti, non solo a subirli.

La scuola italiana ha bisogno di una rivoluzione seria, non di ritorni folcloristici. Ha bisogno di spazi sicuri, docenti preparati, studenti ascoltati. Ha bisogno di laboratori, non solo di aule chiuse. Ha bisogno di memoria, sì, ma anche di immaginazione. Non basta evocare il passato: bisogna costruire il futuro. E il futuro, oggi, è ancora tutto da scrivere.

Ernesto Mastroianni